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venerdì, 22 Novembre, 2024
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Solidarietà in Cella: Il Sostegno dei Detenuti a Vallanzasca

Nell’ultima fase della lunga detenzione di Renato Vallanzasca, un racconto di solidarietà emerge tra i detenuti del carcere di Bollate, che si sono presi cura di lui durante la sua malattia. Vallanzasca, condannato a quattro ergastoli e in carcere da oltre cinquant’anni, ha iniziato a mostrare segni di demenza, che hanno portato i giudici a decidere per il suo trasferimento ai domiciliari in una Residenza sanitaria assistenziale (Rsa). Tino Stefanini, un ex associato alla mafia della Comasina, ha testimoniato l’impegno di altri detenuti, definiti “caregiver”, che lo sollevavano quando cadeva, lo aiutavano a mangiare e lo accompagnavano in momenti sempre più difficili, anche prima che fosse trasferito nell’infermeria del carcere. Questi detenuti, spesso chiamati ‘piantoni’, supportano i compagni non autosufficienti, un impegno riconosciuto anche nei documenti giudiziari.

Gli avvocati di Vallanzasca hanno evidenziato l’assenza di competenze mediche tra i detenuti che lo assistono e hanno sottolineato che la struttura carceraria non è adeguata per i detenuti affetti da demenza. La relazione sanitaria dell’istituto di Bollate ha riportato osservazioni relative alla condizione di Vallanzasca, confermando la sua incompatibilità con la vita carceraria. La giudice Carmela D’Elia, nel firmare il provvedimento di scarcerazione, ha anche notato lo stato di prostrazione dei caregiver, non addestrati per gestire una situazione così complessa. Questo ha spinto le autorità a ordinare il trasferimento di Vallanzasca in un luogo più idoneo per le sue cure.

Al momento della sua liberazione, è probabile che Vallanzasca non possa riconoscere o ringraziare i detenuti che lo hanno assistito e sollevato più volte da terra, a causa della progressione della sua malattia. Il gesto di solidarietà di questi uomini, che hanno dedicato le loro energie per aiutare un compagno di sventura, si erge come un esempio di umanità anche in un contesto difficile come quello carcerario. La storia di Vallanzasca e dei suoi ‘caregiver’ evidenzia un aspetto spesso trascurato della vita in carcere: il legame umano che può svilupparsi anche tra chi vive nelle condizioni più dure.

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