Il Festival Treccani della Lingua Italiana, che si svolgerà a Lecco dal 27 al 29 settembre, si concentra quest’anno sulla sessualità come tema centrale, evidenziando la sua rilevanza nelle discussioni contemporanee, inclusa l’identità di genere e i diritti LGBTQIA+. La scelta di questo argomento, secondo Valeria Della Valle, condirettrice del Vocabolario Treccani, riflette l’evoluzione del termine nel tempo e la necessità di affrontare senza pudore le sue molteplici sfaccettature. La sessualità, pur essendo un argomento controverso, è frequentemente presente nei social media e nei discorsi quotidiani, e merita un’analisi linguistica più profonda.
Della Valle afferma che nuovi termini legati alla sessualità vengono monitorati e, quando diventano di uso comune, possono essere registrati nei dizionari. Questa classificazione avviene solo quando si ha la certezza che la parola sia necessaria e non semplicemente una moda temporanea. In passato, alcune parole legate alla sessualità venivano ignorate a causa di pregiudizi moralistici, ma ora ci si impegna a aggiornare le definizioni per riflettere i cambiamenti della società. Ad esempio, la definizione di “omosessualità” è cambiata drasticamente, passando da una visione patologica a una comprensione più accettata e normale.
Un’altra questione importante riguarda l’inclusione di parole ritenute oscene. Della Valle sostiene che non ci sono parole “brutte” in sé, ma è importante contestualizzarle e fornire avvertimenti sul loro utilizzo. Dal suo punto di vista, escludere parole può risultare in una forma di censura. Il dizionario deve quindi contenere tutte le parole, anche quelle offensive, ma con specificazioni che spieghino il loro uso appropriato.
Infine, la riflessione sul “politically correct” emerge quando si discute l’inclusione di termini considerati offensivi. Della Valle difende l’idea che sia essenziale mantenere nel vocabolario parole come “puttana”, nonostante le polemiche, per preservare la storia linguistica e fornire accesso a tutte le sfaccettature della lingua. Eliminare tali termini sarebbe, secondo lei, un atto ipocrita e una forma di censura non accettabile.