Uno studio condotto da Nicholas Clement dell’Università di Edimburgo ha analizzato l’impatto dei tempi di attesa al pronto soccorso sui pazienti con fratture dell’anca, evidenziando che attendere oltre quattro ore è associato a un aumento del rischio di morte e a una degenza ospedaliera più lunga. Pubblicato nell’Emergency Medicine Journal, lo studio ha rilevato che oltre un terzo dei pazienti ha superato il limite di attesa stabilito dal protocollo nazionale, che prevede una dimissione o un ricovero per il 76% dei pazienti entro tale termine.
Con l’invecchiamento della popolazione, si stima che entro il 2033 il numero di donne e uomini che subirà una frattura dell’anca raddoppierà, rendendo urgente intervenire con chirurgia precoce, poiché questa è associata a minori complicazioni e mortalità. Lo studio ha esaminato retrospettivamente i dati di pazienti di almeno 50 anni ricoverati per frattura dell’anca in un centro traumatologico della Scozia tra gennaio 2019 e giugno 2022, monitorati per un follow-up di almeno 8 mesi.
Su 3611 pazienti iniziali, 3266 sono stati inclusi nell’analisi; l’età media era di 81 anni e il 72% erano donne. I pazienti hanno trascorso in media 3,9 ore al pronto soccorso, con un tempo di attesa medio per l’intervento di 27 ore e una degenza media di 9 giorni. Purtroppo, oltre il 40% è deceduto entro la fine del follow-up. Dei pazienti analizzati, il 39% ha atteso oltre quattro ore, e il rischio di morte a 90 giorni mostrava un significativo incremento con l’aumento del tempo di attesa, superando il 14% dopo 24 ore. In particolare, il decesso era più probabile in pazienti di sesso maschile e di età avanzata, ricoverati nei mesi invernali, con rischio operatorio aumentato o con fratture più complesse.
Inoltre, i pazienti con attesa prolungata avevano maggiori probabilità di rimanere in ospedale più a lungo, comportando costi significativi. Nonostante la natura osservazionale dello studio imponga cautela nell’interpretare i risultati, i ricercatori suggeriscono che un trasferimento diretto in sala operatoria potrebbe migliorare le possibilità di survival per questi pazienti.