L’integratore proossidante menadione, precursore della vitamina K, potrebbe rallentare la progressione del cancro alla prostata, la neoplasia più comune negli uomini, rappresentando il 18,5% di tutti i tumori diagnosticati. Questa è la conclusione di uno studio condotto dai ricercatori del Cold Spring Harbor Laboratory, pubblicato sulla rivista Science e guidato da Lloyd Trotman. Il team ha esaminato i dati dello studio SELECT del National Cancer Institute, che nel 2001 ha coinvolto 35 mila uomini a cui è stata somministrata vitamina E per un periodo di 12 anni. Tuttavia, il trial è stato interrotto dopo tre anni poiché il trattamento non mostrava effetti nel rallentare o prevenire il cancro alla prostata, e anzi i partecipanti che assumevano vitamina E avevano un tasso di prevalenza più elevato rispetto al gruppo di controllo.
Trotman ha spiegato che, essendo la vitamina E un antiossidante, la ricerca si è spostata sull’ipotesi che un pro-ossidante come il menadione potesse produrre risultati migliori. Usando un modello murino con cancro alla prostata, gli scienziati hanno somministrato il menadione, scoprendo che esso ostacola la sopravvivenza delle cellule tumorali impoverendo un lipide chiamato PI(3)P, fondamentale per il riciclo del materiale cellulare. Le cellule cancerose, in conseguenza di questo processo, tenderebbero a “esplodere”, rallentando in modo significativo la progressione della malattia.
Il team auspica di avviare un esperimento pilota su pazienti umani affetti da cancro alla prostata, in particolare mirando a uomini con diagnosi precoce. Gli esperti sottolineano che, sebbene la diagnosi di cancro alla prostata sia comune e curabile nella maggior parte dei casi, esistono forme resistenti alle terapie, che possono risultare estremamente letali.
In aggiunta, il menadione ha mostrato potenziali benefici anche per la miopatia miotubulare, una rara condizione infantile che ostacola la crescita muscolare. Gli studi hanno rivelato che l’esaurimento di PI(3)P tramite menadione può raddoppiare la durata della vita dei topi affetti da questa patologia. Gli autori concludono che se i risultati venissero confermati nell’uomo, si potrebbe sviluppare una strategia terapeutica mirata per i pazienti con cancro alla prostata, migliorando così la loro qualità della vita e consentendo loro di trascorrere maggior tempo con le famiglie.]