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giovedì, 14 Novembre, 2024
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Consumo di Antibiotici in Italia: Un Fenomeno Maggiore al Sud

Il consumo di antibiotici in Italia è aumentato nel 2023, registrando un incremento del 6,4% rispetto all’anno precedente, secondo il Rapporto OsMed 2023 dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). Questo dato suscita preoccupazione, poiché la resistenza agli antibiotici è considerata un’emergenza sanitaria, con stime dell’OMS che prevedono oltre 39 milioni di morti entro il 2050 a causa di batteri resistenti. L’Italia presenta la maggiore resistenza in Europa, con circa 200.000 casi di pazienti colpiti ogni anno e 11.000 vittime.

Nel 2023, quasi il 40% della popolazione ha ricevuto almeno una prescrizione di antibiotico, con incidenze più alte nel Sud (44,8%) rispetto al Nord (30,9%). Si evidenziano anche differenze nell’appropriatezza delle prescrizioni, poiché il consumo di antibiotici a uso ospedaliero cresce da dieci anni, suggerendo che sia necessaria una migliore sorveglianza delle infezioni nosocomiali. È necessaria l’implementazione di programmi di “Antimicrobial Stewardship” per ottimizzare l’uso e ridurre la resistenza.

L’appropriatezza prescrittiva deve seguire le indicazioni cliniche e rispettare dosaggio e durata del trattamento. Il consumo medio di antibiotici in Italia nel 2023 è stato di 17,2 dosi giornaliere per 1.000 abitanti, con differenze regionali evidenti: 14,5 dosi al Nord, 20,3 al Sud e 18,2 al Centro. Nelle singole regioni, si varia dalle 11,1 dosi di Bolzano alle 22,4 dell’Abruzzo.

Sorprendentemente, non esistono studi che giustifichino il consumo elevato di farmaci per ulcere peptiche e reflusso esofageo al Sud, dove si registrano 100,5 dosi giornaliere di inibitori della pompa acida, rispetto a 70,7 al Centro e 77 al Nord. Anche il consumo di antidiabetici è più alto al Sud (83,4 dosi contro le 64,5 del Nord).

Le differenze regionali sono dovute a una maggiore prevalenza d’uso, con il 7,7% della popolazione meridionale contro il 6,5% della media nazionale. L’AIFA avverte che tali dati non devono essere considerati come meri indicatori di inappropriatezza, poiché dipendono dalle interazioni tra medici e pazienti e dalle caratteristiche del contesto assistenziale.

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