Studi recenti sul long covid hanno messo in evidenza l’esperienza di milioni di pazienti e suggerito che più a lungo una persona è affetta da questa condizione, minori sono le probabilità di guarigione completa. La fase migliore per recuperare è nei primi sei mesi dopo l’infezione da COVID-19, in particolare per coloro che hanno avuto sintomi iniziali lievi e per quelli vaccinati. Invece, chi manifesta sintomi da sei mesi a due anni ha minori chance di guarire, mentre per chi lotta con i sintomi per oltre due anni, la possibilità di recupero diventa “molto ridotta”, secondo Manoj Sivan dell’Università di Leeds.
Sivan propone di definire questa condizione come “long COVID persistente”, simile a condizioni croniche come la sindrome da stanchezza cronica e la fibromialgia, che possono essere correlate al long COVID. Questa sindrome è caratterizzata da sintomi persistenti, che includono stanchezza estrema, confusione mentale, mancanza di respiro e dolore articolare, e può variare da forme lievi a gravemente invalidanti. Non esistono test diagnosticabili o trattamenti standardizzati, ma la ricerca ha fatto progressi nell’identificare i fattori di rischio.
Uno studio britannico ha rilevato che quasi un terzo dei pazienti con sintomi persistenti a 12 settimane riesce a recuperare entro 12 mesi, mentre coloro che erano stati ricoverati in ospedale hanno mostrato tassi di recupero significativamente più bassi. I dati dell’Office for National Statistics del Regno Unito hanno indicato che due milioni di persone hanno riportato sintomi da long COVID, con circa 700.000 di queste che hanno manifestato sintomi già da tre anni.
A livello globale, le stime indicano che tra 65 milioni e 200 milioni di persone potrebbero essere affette da long COVID, portando a decine di milioni di individui a vivere con disabilità prolungate. Nonostante gli Stati Uniti e alcuni paesi continuino a finanziare la ricerca, esperti e sostenitori segnalano una diminuzione dell’attenzione verso la condizione in paesi tradizionalmente coinvolti nella ricerca. Amitava Banerjee, dell’University College di Londra, afferma che il long COVID dovrebbe essere visto come una malattia cronica, gestibile per migliorare la qualità della vita dei pazienti. Un esempio è Leticia Soares, ricercatrice brasiliana, che anche dopo l’infezione sta lottando con stanchezza e dolore cronico.