La riforma del governo riguardante l’immigrazione è stata criticata dal presidente del Tribunale di Milano, Fabio Roia, che la definisce “irrazionale e scomposta”. Secondo Roia, non è chiaro perché le Corti d’Appello, che normalmente non si occupano di immigrazione e protezione internazionale, dovrebbero ora avere questa competenza, limitatamente a questo settore. I recenti decreti reintroducono la possibilità di fare appello contro le decisioni dei tribunali territoriali sulla protezione internazionale.
Roia ritiene che questo intervento non allevierà il carico di lavoro del tribunale, dal momento che, al 30 settembre 2024, ci sono circa 13.284 procedimenti pendenti in materia di immigrazione, un numero in crescente aumento dovuto ai flussi migratori. Nel 2023, nei primi otto mesi, sono stati registrati circa 5.000 nuovi ricorsi, dimostrando l’efficienza dell’ufficio immigrazione. Rispetto al 2021, il numero delle pratiche pendenti era significativamente inferiore, attestandosi intorno a 10.000.
Roia avverte che la riforma potrebbe compromettere il raggiungimento degli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Nonostante gli sforzi, la sezione immigrazione non riesce a ridurre l’arretrato, che continua a crescere. Attualmente, i procedimenti legati all’immigrazione costituiscono circa il trenta per cento delle cause pendenti al Tribunale. Inoltre, ci sono un aumento di ricorsi cautelari e di convalida dei trattenimenti nei Centri di Permanenza per Rimpatri (CPR).
Per affrontare il problema dell’arretrato, Roia suggerisce di tornare a un giudizio monocratico anziché collegiale, per garantire risposte più tempestive. Sottolinea anche la necessità di potenziare gli organici, attualmente inadeguati. Infatti, la scopertura della sezione immigrazione è del trenta per cento; ci dovrebbero essere un presidente e 13 giudici, ma attualmente ce ne sono solo 8, con l’arrivo di alcuni nuovi giudici previsto a breve. Roia osserva che i giudici in appello a Milano sono relativamente giovani in termini di anzianità di servizio, contrariamente all’intento del governo di affidare la questione a magistrati più esperti.