Intervistata dal Corriere della Sera, Rahma Nur, originaria di Mogadiscio e naturalizzata italiana, racconta la sua esperienza come maestra alla scuola primaria di Pomezia. Arrivata a Roma all’età di cinque anni negli anni Settanta, sottolinea quanto sia importante accogliere tutte le differenze. Ricorda un episodio in cui una collega la chiamava “cioccolatino”, un termine che non ha gradito, perché evidenzia come oggi ci siano persone che non si vergognano più di essere razziste.
Rahma afferma che la sua classe è un luogo sicuro dove si sente bene e spera che lo sia anche per i suoi alunni. Per stimolare la curiosità dei suoi studenti, insegna autori come Ungaretti, poesie afroamericane e il blues. In merito ai bambini, sottolinea che sono per lo più curiosi e aperti piuttosto che impauriti. Riguardo ai colleghi, attua un paragone su come la percezione nei suoi confronti sia cambiata nel tempo, ricordando come inizialmente ci fosse cautela nei suoi confronti e come un collaboratore avesse insinuato che lei parlasse a stento italiano.
Rahma racconta anche un episodio alla riunione dei docenti, in cui una collega le chiedeva il suo parere usando il soprannome “cioccolatino”. Dopo averle fatto presente che avrebbe potuto usare un diminutivo più affettuoso come “Rahmuccia”, la collega si offese. Oggi, Rahma nota un aumento della consapevolezza su temi come antirazzismo e femminismo. Tuttavia, osserva anche che ci sono ancora molte persone che non hanno problemi a definirsi razziste, esprimendo apertamente il desiderio di escludere alcune comunità . Queste persone, sostiene, hanno paura di affrontare tali argomenti poiché mancano degli strumenti necessari per comprendere e superare i pregiudizi. In conclusione, Rahma Nur si propone di continuare a educare e sensibilizzare i suoi alunni sulle diversità e il valore della convivenza.