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Addio all’avvocato De Luca, protagonista dei grandi processi del ‘900

Giuseppe De Luca, considerato il più grande penalista d’Italia, fu allievo prediletto di Francesco Carnelutti, che lo scelse come collaboratore dopo averne riconosciuto il talento accademico. Soleva mostrarsi umile e riservato, ma il suo ingresso in aula con la toga attirava sempre l’attenzione. Le sue arringhe, caratterizzate da un’analisi acuta e profonda, si distinguevano per la capacità di andare oltre le norme e i codici, guadagnandosi numerose vittorie nei grandi processi del ‘900. È scomparso a 98 anni a causa di un’infezione polmonare a Roma, dove si era trasferito dal suo paese natale, Picciano, in provincia di Teramo.

Figlio di maestri elementari, De Luca si distinse insieme al fraterno cugino Emilio Alessandrini, morto nel 1979. La sua carriera iniziò nel 1948 con il processo al Maresciallo Rodolfo Graziani, sotto la direzione di Carnelutti. De Luca affrontò casi celebri, come quello del delitto di Wilma Montesi nel 1953, e difese anche figure illustri come Sophia Loren, accusata di evasione fiscale nel 1982. Professore di procedura penale all’Università La Sapienza di Roma, De Luca si affermò come un’autorità nel diritto processuale penale.

Uno dei suoi casi più noti fu il sequestro per oscenità e il rogo del film “Ultimo tango a Parigi” nel 1976, in difesa del regista Bernardo Bertolucci. De Luca era lontano dalla retorica e dalla spettacolarizzazione del processo, preferendo mantenere un profilo basso sia nella professione che nella vita pubblica. Non cercava la notorietà e non era noto al grande pubblico, come desiderava. Tuttavia, il suo nome risonò quando Silvio Berlusconi lo scelse come difensore in numerosi casi legali e lo considerò per il ruolo di ministro della Giustizia nel suo primo governo, proposta che De Luca rifiutò.

Il suo studio in via della Conciliazione lo vedeva interagire con figure di potere e amici comuni, mantenendo sempre un legame con le sue radici abruzzesi. Durante l’estate, trascorreva le vacanze nella villa di famiglia a Silvi Marina, dove amava passeggiare e discutere di attualità e storia. Credeva fermamente nella meritocrazia, ma nel corso degli anni la sua speranza in una società migliore era diminuita. Conosciuto nel suo paese come “don Peppino”, scelse di riposare accanto ai genitori nel cimitero di Picciano.

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