Un recente studio dei ricercatori statunitensi ha messo in evidenza un legame tra il morbo di Alzheimer e un’infezione intestinale provocata dal citomegalovirus (CMV), un virus della famiglia degli Herpesvirus. Questa scoperta potrebbe segnare un progresso significativo nella prevenzione e nel trattamento della demenza, principale causa di declino cognitivo nel mondo. Gli scienziati ipotizzano che il CMV possa risalire lungo il nervo vago fino al cervello, innescando processi neurodegenerativi. Il citomegalovirus è molto comune, con oltre l’80% della popolazione globale che lo ha contratto senza manifestare sintomi significativi; tuttavia, può riattivarsi in condizioni di immunodepressione, causando complicazioni.
Lo studio ha rivelato che fino al 45% dei pazienti con Alzheimer potrebbe avere sviluppato la malattia a causa di questa infezione intestinale. La ricerca sta esaminando come il virus possa utilizzare il nervo vago, una via di comunicazione tra intestino e cervello, per raggiungere il sistema nervoso centrale e innescare meccanismi patologici legati alla neurodegenerazione. Negli ultimi anni, la relazione tra salute intestinale e malattie neurodegenerative ha ricevuto sempre più attenzione, confermando l’importanza del microbiota intestinale, che è stato associato a patologie come il morbo di Parkinson.
I ricercatori hanno trovato evidenze della presenza di CMV nell’intestino e nel liquido cerebrospinale di pazienti con Alzheimer. Hanno inoltre osservato una correlazione tra l’infezione virale e l’attivazione anomala della microglia, le cellule immunitarie del cervello, potenzialmente accelerando i processi neurodegenerativi. Questo studio, guidato dal professor Benjamin P. Readhead dell’Università Statale dell’Arizona e in collaborazione con istituzioni prestigiose, ha analizzato campioni di tessuti cerebrali, liquido spinale e intestinale di pazienti deceduti.
I risultati hanno mostrato un legame diretto tra infezione da CMV e accumulo di proteine patologiche come beta-amiloide e tau fosforilata, suggerendo un ruolo attivo del virus nella progressione dell’Alzheimer. L’espressione anomala del gene CD83 nella microglia, insieme alla presenza di anticorpi IgG4, indica una risposta immunitaria che porta a un’infiammazione potenzialmente dannosa. Le scoperte offrono nuovi spunti per approcci terapeutici mirati contro il CMV, potenzialmente riducendo il rischio di sviluppare Alzheimer. Il prossimo passo sarà testare queste terapie antivirali in studi clinici su larga scala per confermare l’efficacia del trattamento.