Un lavoratore con un reddito di circa 30mila euro all’anno, che andrà in pensione di vecchiaia nel 2025 a 67 anni, si confronterà con una riduzione del 2% dell’assegno pensionistico rispetto a chi si ritira nel 2024. Secondo la Cgil, i nuovi coefficienti di trasformazione, applicabili a tutti i lavoratori che andranno in pensione nel 2025, porteranno a un calo dei valori: per chi va in pensione a 67 anni il coefficiente passerà da 5,723 a 5,608. Ciò comporta una perdita lorda di circa 25 euro al mese su una pensione di 1.250 euro, arrivando a un totale di oltre 326 euro all’anno e oltre 5mila euro nell’intero periodo di pensione.
I coefficienti di trasformazione vengono aggiornati ogni due anni per riflettere le variazioni nell’aspettativa di vita. Un aumento della speranza di vita implica un allungamento del periodo di erogazione delle pensioni, contribuendo a una diminuzione dei coefficienti. Dopo l’incremento temporaneo del biennio 2023-2024, legato all’impatto del Covid sulla vita media, i coefficienti tornano a scendere per seguire la tendenza storica. Questa revisione colpisce tutti i lavoratori che andranno in pensione dal 2025 in poi, aggravando ulteriormente la situazione di quelli più giovani, la cui posizione contributiva è stata accumulata dopo il 1995. La Cgil denuncia l’iniquità di un sistema previdenziale che, in caso di aumento dell’aspettativa di vita, aumenta i requisiti per accedere alla pensione e riduce al contempo i coefficienti.
Nel caso specifico di un lavoratore di 67 anni con un montante contributivo di 283.971,65 euro, utilizzando il coefficiente precedente, l’assegno annuale sarebbe stato di 16.251,70 euro, ossia circa 1.250 euro al mese. Tuttavia, applicando il nuovo coefficiente nel biennio 2025-2026, l’assegno scende a 15.925,13 euro, pari a circa 1.225 euro mensili. La differenza è ancor più marcata per chi esce dopo i 67 anni; ad esempio, un lavoratore che esce a 70 anni avrà una pensione mensile significativamente inferiore, con perdite annuali notevoli.