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lunedì, Ottobre 14, 2024
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Chirurgia Precoce per il Cancro alla Prostata: Aumento del 17% della Sopravvivenza

Un recente studio scandinavo della durata di trent’anni, condotto dall’Università di Uppsala e pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha messo in evidenza un significativo aumento del tasso di sopravvivenza per gli uomini affetti da cancro alla prostata che hanno subito l’asportazione dell’intera ghiandola prostatica subito dopo la diagnosi, rispetto a coloro che hanno atteso l’insorgenza di sintomi per iniziare il trattamento. I risultati mostrano un incremento del 17% nella sopravvivenza per quelli sottoposti a intervento chirurgico, con una media di vita aggiuntiva di oltre due anni.

Lo studio, iniziato nel 1989, ha confrontato l’efficacia dell’asportazione totale della prostata con il trattamento standard dell’epoca, che prevedeva intervento solo in presenza di sintomi e consistenza principalmente in terapie ormonali. Nel corso di dieci anni, sono stati reclutati 695 uomini con cancro alla prostata, seguiti fino al 2022. Dopo tre decenni, la maggior parte dei soggetti deceduti lo è stata per cause diverse dal cancro alla prostata. Coloro che avevano ricevuto l’intervento chirurgico presentavano un rischio del 17% inferiore di morire di cancro alla prostata durante il periodo di osservazione e una media di vita superiore di 2,2 anni rispetto agli uomini sottoposti a trattamento più tardi.

Anna Bill-Axelson, professore di urologia all’Università di Uppsala, ha sottolineato che il trattamento influisce significativamente sulla progressione della malattia per tutta la vita dell’individuo. Ciò implica che le tempistiche di analisi in studi sul cancro alla prostata hanno un grande impatto sull’interpretazione dei risultati, evidenziando come una prospettiva a breve termine possa risultare inadeguata.

Va notato che lo studio è stato condotto in un periodo precedente all’adozione diffusa del test del PSA, che oggi permette di identificare la maggior parte dei tumori alla prostata in fase iniziale. La prognosi attuale è quindi migliore rispetto a quella degli uomini coinvolti nello studio. Tuttavia, gli autori avvertono che le decisioni terapeutiche di oggi potrebbero anch’esse avere effetti a lungo termine sulla vita dei pazienti, un aspetto cruciale da considerare durante le consigliazioni di trattamento.]

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