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martedì, 14 Gennaio, 2025
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‘Crematorio Gelido: Testimonianze dell’Inferno di Auschwitz’

Benvenuti all’inferno. ‘Crematorio freddo’ di Joseph Debreczeni, pubblicato per la prima volta nel 1950 in ungherese, rappresenta una testimonianza cruciale sull’Olocausto, ora di nuovo disponibile in Italia dopo un lungo oblio. Questo libro, tradotto da Dora Varnai e in uscita il 15 gennaio per Bompiani, offre un resoconto toccante e crudo delle esperienze nei campi di concentramento, in particolare ad Auschwitz e altri lager della Bassa Slesia. Con il sottotitolo ‘Cronache dalla terra di Auschwitz’, l’opera si afferma come uno dei testi più potenti dall’uscita di ‘Se questo è un uomo’ di Primo Levi.

Debreczeni, pseudonimo di Jozsef Bruner, descrive il suo viaggio doloroso attraverso i gironi infernali del campo. Il ‘crematorio freddo’ menzionato nel titolo è il lager-ospedale di Dornhau, dove i prigionieri malati venivano abbandonati a morire di stenti. Attraverso uno stile semplice e diretto, l’autore racconta la degradazione umana subita dai detenuti: lavori forzati, fame extrema, condizioni igieniche inaccettabili e violenza tra prigionieri. La gerarchia interna del campo è un tema ricorrente, con i Kapos che esercitano il controllo su altri prigionieri e una dieta composta unicamente da porzioni misere.

L’esperienza di Debreczeni, che divenne un numero – il 3303 – abbraccia un anno, dal maggio 1944 al maggio 1945, durante il quale affronta selezioni per le camere a gas e lotte quotidiane per la sopravvivenza. La narrazione evidenzia la trasformazione dei prigionieri in “larve umane”, ridotti a pesare meno di trenta chili e vivendo tra escrementi e pidocchi. La ricchezza del racconto sta nella lucidità e nell’intensità della testimonianza, rendendo il lettore consapevole dell’orrore attraverso immagini potenti.

Nonostante il suo primo successo internazionale, il libro fu inizialmente accolto con indifferenza, simile a quanto accaduto con il lavoro di Levi. ‘Crematorio freddo’, dopo 74 anni, riceve finalmente il riconoscimento che merita come atto d’accusa contro le atrocità nazifasciste. Il nipote dell’autore, Alexander Bruner, ha lavorato per riportare alla luce questo “capolavoro perduto”, sottolineando l’urgenza di condividere queste storie fondamentali con i lettori di oggi.

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