Al Nord Italia, un dipendente privato guadagna in media circa 2.000 euro lordi al mese, mentre al Sud la cifra si attesta sui 1.350 euro. Questo comporta una differenza retributiva di circa il 50%, pari a un incremento di circa 8.450 euro lordi all’anno per i lavoratori del Nord, come evidenziato dall’analisi della Cgia di Mestre.
Durante il mese di dicembre, la Cgia mette in evidenza che lo “spread” salariale si riflette anche sulla tredicesima mensilità, che viene corrisposta in questo periodo. Nonostante l’abolizione delle gabbie salariali nel 1972, la differenza di stipendio tra le regioni italiane non è stata sufficientemente ridotta dopo oltre 50 anni di applicazione dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (Ccnl). Tuttavia, l’obiettivo del lavoro dignitoso è stato raggiunto, seppur limitatamente a livello intra-settoriale.
Le disuguaglianze salariali tra Nord e Sud sono aggravate da diversi fattori. Innanzitutto, il costo della vita e la produttività nel Nord sono sensibilmente più elevati rispetto a quelle del Sud. Inoltre, la presenza di contratti di lavoro precari, come i contratti a termine, i part-time involontari e i lavori stagionali, incide negativamente sui salari medi nel Mezzogiorno. Queste forme di lavoro sono più comuni nelle regioni meridionali.
Un altro motivo della differente distribuzione salariale è la concentrazione di multinazionali, grandi gruppi industriali e istituti di credito e assicurativi, che offrono stipendi più elevati rispetto alle piccole e medie imprese (Pmi), ma sono sovente localizzati nelle grandi aree urbane del Nord. Questo non solo limita l’accesso a stipendi più alti ai lavoratori del Sud, ma contribuisce anche ad un ulteriore aumento del divario salariale tra le due regioni.
In sintesi, lo studio della Cgia di Mestre evidenzia una persistente disparità di retribuzioni tra Nord e Sud, alimentata da fattori economici, strutturali e sociali che richiedono un intervento significativo per garantire una maggiore equità salariale.