Il Report dell’UNHCR, basato su un questionario a cui hanno risposto 194 studenti universitari richiedenti e beneficiari di protezione in Italia, mette in luce una serie di problematiche affrontate da questi studenti. La ricerca è stata presentata nel convegno “Manifesto dell’Università Inclusiva” organizzato dall’Università Lumsa in collaborazione con l’UNHCR. Tra i partecipanti, il 24% proviene dall’Afghanistan e il 22% dall’Ucraina, riflettendo l’andamento attuale delle migrazioni in seguito a conflitti e crisi politiche.
I principali problemi segnalati riguardano il sostegno finanziario, con il 30% che richiede maggiore aiuto, la comprensione della lingua italiana (21%) e la gestione delle borse di studio. Molti studenti esprimono un forte desiderio di lavorare in Italia dopo la laurea, ma solo un terzo di loro ha trovato impiego. La maggior parte degli studenti, il 75%, riporta di non aver potuto applicare l’esperienza acquisita nel mondo del lavoro. Inoltre, emerge una certa discriminazione: il 46% degli studenti ha avvertito sentimenti di esclusione e il 35% ha difficoltà a socializzare.
Le problematiche linguistiche si rivelano significative, con il 37% che ha una conoscenza base dell’italiano, rispetto al 62% per l’inglese. Molti rifugiati arrivano in Italia senza documenti accademici, il che complica il prosieguo degli studi. La professoressa Paula Benevene sottolinea l’urgenza di un sistema di tutoraggio e di un’educazione inclusiva per facilitare l’integrazione.
Per quanto riguarda le borse di studio, il 71% degli studenti ne ha beneficiato, ma ci sono ostacoli significativi per chi non ha potuto accedervi, dovuti principalmente alla scarsa informazione sulle opportunità disponibili e alla complessità delle procedure.
La ricerca sottolinea la necessità di instaurare una rete di supporto per aiutare questi studenti a inserirsi nel mondo del lavoro e a proseguire i loro studi. La mancanza di fondi per l’inserimento professionale e il supporto sociale sono voci frequentemente segnalate. Fausta Scardigna, professoressa all’Università di Bari, afferma che senza un adeguato sostegno, rischiamo di non valorizzare le competenze dei rifugiati, compromettendo le possibilità di internazionalizzare le università italiane.