Zulfiqar Khan, imam pachistano della moschea di via Jacopo di Paolo a Bologna, è stato portato in Questura per essere espulso dall’Italia. Il suo avvocato, Francesco Murru, ha denunciato questa azione come un ritorno a uno “stato di polizia” e un attacco ai reati d’opinione. Il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha firmato un decreto di espulsione per motivi di sicurezza nazionale, citando il crescente fanatismo e le posizioni radicali di Khan, comprese le sue dichiarazioni antioccidentali, antisemite e omofobe.
Negli ultimi mesi, Khan ha espresso opinioni fortemente integraliste, esaltando il martirio dei mujahidin e sostenendo gruppi come Hamas. Ha anche descritto l’omosessualità come una “malattia da curare”. Alcuni suoi sermoni hanno incoraggiato la resistenza contro le imposizioni fiscali dello Stato, affermando che le risorse dovrebbero rimanere nella comunità musulmana. Ha inoltre accusato pubblicamente paesi occidentali di sostenere “sionisti impuri” e ha invocato la distruzione di tali oppressori.
Zulfiqar Khan, di 54 anni e residente in Italia dal 1995, ha visto il suo permesso di soggiorno revocato con il decreto di espulsione, il quale deve comunque essere convalidato in tribunale e può essere impugnato. A giugno, Khan aveva denunciato per diffamazione un sottosegretario e un console onorario, mentre la richiesta di espulsione da parte di Matteo Salvini ha suscitato ulteriori polemiche.
L’avvocato Murru ha sottolineato che le motivazioni per l’espulsione sono generiche e senza riscontri, evidenziando che Khan sarebbe socialmente pericoloso solo perché ha espresso opinioni personali sul conflitto israelo-palestinese. Murru ha anche fatto notare che frasi discriminanti sono state utilizzate in mondi religiosi da altre figure senza che queste subissero le stesse conseguenze.
Infine, l’avvocato ha suggerito che l’azione di espulsione possa essere una ritorsione per il ricorso legale di Khan contro le autorità, insinuando che il provvedimento del ministro Piantedosi possa rispecchiare non solo le pressioni politiche ricevute, ma anche un intento vendicativo per la denuncia presentata dal suo cliente.