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martedì, Ottobre 15, 2024
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Fidelissimi in Affanno: Il Caso di Matteo Messina Denaro

Mentre i carabinieri intercettavano membri di Cosa nostra, percepivano il fruscio dei pizzini di Matteo Messina Denaro, latitante più ricercato d’Italia. Questa situazione dimostrava che il boss era ancora attivo e faceva affari con i suoi uomini, che ora sono stati scarcerati per scadenza dei termini di custodia cautelare. La Corte d’appello di Palermo, in seguito a una disposizione della Cassazione, ha dovuto rideterminare le pene per i boss e i gregari di Messina Denaro.

Il venire meno di un’aggravante ha portato a sconti significativi per gli imputati, con molte scarcerazioni di spicco. Tra coloro che hanno ottenuto la libertà, ci sono due padrini al 41 bis, Nicola Accardo e Vincenzo La Cascia, considerati fedelissimi di Messina Denaro. Durante le intercettazioni, Accardo discuteva di Messina Denaro, riferendosi a sue presunte spostamenti in Calabria e al suo ritorno, ignaro di essere ascoltato.

Entrambi erano stati arrestati nel corso del blitz “Anno Zero”, un’operazione che ha smantellato la rete di protezione del boss. In questo intervento furono catturati anche i cognati di Messina Denaro, Gaspare Como e Rosario Allegra, insieme ad altri membri della mafia. Nel 2019, furono condannati a oltre 150 anni di carcere, ma l’appello nel 2021 ha confermato le pesanti condanne. Tuttavia, nel 2023, la Cassazione ha restituito il caso ai giudici di secondo grado per esaminare la presenza dell’aggravante del reinvestimento dei proventi mafiosi, portando a una revisione delle pene.

Le conseguenze della riconsiderazione delle pene hanno aperto il carcere per diversi affiliati, tra cui Accardo, La Cascia e altri capimafia coinvolti. L’inchiesta ha rivelato che Messina Denaro, mentre era in latitanza, aveva delegato ai due cognati la gestione degli affari mafiosi, coprendo attività come racket, energie rinnovabili e scommesse online. Un’intercettazione ha svelato, inoltre, un commento shock di Vincenzo Signorello riguardo al rapimento e all’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, evidenziando la brutalità del clan.

Queste vicende hanno sollevato interrogativi e dibattiti in merito alla giustizia e alla lotta contro la mafia in Italia.

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