In sei mesi di vita da nababbo, Edgard Laplante, noto come Cervo Bianco, ha speso un patrimonio equivalente a oltre un milione di euro attuale, sfruttando la sua astuzia e il fascino da falso indiano. Giunto in Europa nel 1924 con l’intenzione di sostenere la causa dei nativi americani, si è invece trovato a realizzare una truffa di grande successo durante un periodo di psicosi collettiva in Italia, segnata dal delitto Matteotti. Nababbo senza alcuna reale nobiltà, Laplante, con madre di origini indiane e padre canadese muratore, viveva di spettacoli e inganni.
Incontrò la contessa Antonia Khevenhüller in Francia, dove attrasse la sua attenzione con il suo atteggiamento esotico e le sue menzogne su ricchezze bloccate. Convince la contessa e sua madre di aver bisogno di aiuto economico, facendosi ospitare nella loro villa di Fiumicello. Durante l’estate, il suo comportamento prodigo e affascinante affascina la nobiltà italiana, facendosi anche notare dal regime fascista, che lo utilizzava come simbolo di filantropia.
La sua vita da nababbo include festa e spese stravaganti, lanciando denaro in strada per stupire la folla. Nonostante il suo successo iniziale, le sue scappatelle e la sua vita dissoluta creano tensioni con la contessa, e il suo stato di salute si deteriora quando contrarre la sifilide. La famiglia Khevenhüller scopre la verità sui suoi inganni e il fratello di Antonia denuncia Laplante per truffa.
Nel 1926, il tribunale di Lugano lo condanna a un anno di reclusione, mentre il giudizio italiano lo attende al termine della sua pena. Condannato a cinque anni a Torino per frode, Laplante sconta meno di tre anni in carcere, dove incontra l’antifascista Massimo Mila. La sua vita di menzogne culmina con la morte nel 1944 a Phoenix, negli Stati Uniti.
La figura di Cervo Bianco è diventata un simbolo di sogni e illusioni collettive, rappresentando il desiderio degli italiani degli anni ’20 di un’esistenza meno mediocre. Divenne l’incarnazione di un mito, creato da una società che cercava evasione e avventura, riflettendo i loro desideri confusi di grandezza e abbondanza.