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Il ritardo nell’apertura del buco dell’ozono: effetto del clima 2023

Quest’anno l’apertura del buco dell’ozono sopra il Polo Sud è avvenuta più tardi rispetto alla media storica, secondo quanto riportato dal servizio europeo di monitoraggio atmosferico Copernicus. Questo evento è coinciso con la Giornata internazionale per la conservazione dello strato di ozono, fondamentale per la protezione dai raggi ultravioletti che aumentano il rischio di tumori della pelle.

Il buco dell’ozono antartico si forma annualmente durante la primavera dell’emisfero meridionale, generalmente tra metà e fine agosto, per poi chiudersi verso la fine di novembre. Nel 2024, tuttavia, questo processo ha subito un ritardo a causa di interruzioni nel vortice polare, che sono state causate da due episodi di riscaldamento stratosferico nel mese di luglio. Cambiamenti nelle temperature e nei modelli di vento della stratosfera hanno influito su questa tempistica.

Il 13 settembre, l’area totale del buco dell’ozono era di 18,48 milioni di chilometri quadrati, risultando più piccola rispetto agli anni precedenti. Per confronto, il 16 settembre 2023 era stata registrata un’area di 26 milioni di chilometri quadrati. Questa diminuzione è stata confermata anche dai dati forniti da NOAA e NASA, che hanno indicato un’area di 18,63 milioni di km² il 14 settembre.

Secondo Laurence Rouil, direttore del Servizio di monitoraggio dell’atmosfera Copernicus (CAMS), vari fattori influenzano la formazione del buco dell’ozono, tra cui attività vulcaniche e cambiamenti climatici. Tuttavia, le sostanze antropogeniche, in particolare i clorofluorocarburi (CFC), hanno un impatto diretto e significativo sulla riduzione dello strato di ozono. Grazie al Protocollo di Montreal del 1987, che ha vietato l’uso di CFC, si prevede un recupero dello strato di ozono nel corso dei prossimi quarant’anni.

Senza il Protocollo di Montreal, stime suggeriscono che entro il 2070 la temperatura media globale potrebbe aumentare di oltre 2 gradi Celsius a causa dei CFC e di altri gas nocivi. L’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del CNR, insieme all’Università di Urbino, è attivamente impegnato nella ricerca sui composti dannosi per l’ozono attraverso un programma pluridecennale, contribuendo così alla protezione dello strato di ozono.

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