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Il ‘Vento Divino’ degli Attacchi Suicidi: Una Strategia per Cambiare le Sorti della Guerra

Il 21 ottobre 1944, un pilota giapponese all’attacco della portaerei australiana “Australia” rappresentò l’inizio della pratica dei kamikaze, un atto disperato in un conflitto che vedeva il Giappone ormai in ritiro. Il suo attacco, anche se non letale a causa di una bomba che non esplose, portò a circa trenta vittime. In quel periodo, il Giappone si trovava in difficoltà, senza i mezzi per contrastare la potenza militare alleata. Nella battaglia del Golfo di Leyte, l’aeronautica nipponica disponeva di solo 40 aerei e il contrammiraglio Takijiro Onishi propose la creazione di una squadra di piloti suicidi, i kamikaze, che si sarebbero lanciati contro le navi nemiche. Questo termine, che significa “vento divino”, alludeva a un tifone che salvò il Giappone da una flotta mongola nel 1281. Il 20 ottobre, 24 piloti si offrirono volontari, nonostante la scarsità di addestramento, pronti a sacrificarsi per la patria.

Il primo successo kamikaze avvenne il 25 ottobre, con l’affondamento della portaerei americana “St. Lo”, creando un impatto psicologico potente sugli Alleati. La nuova strategia fu incoraggiata dai giapponesi, che svilupparono aerei dedicati come lo Yokosuka Okha, una vera e propria bomba volante. Le missioni suicide aumentarono, superando i duemila in pochi mesi, ma le perdite per i kamikaze furono elevate a causa dell’efficace difesa americana. Un grande numero di attacchi avvenne il 6 aprile 1945 durante la Battaglia di Okinawa, con 1.500 aerei giapponesi lanciati contro la flotta alleata, affondando 21 navi. Si stima che i kamikaze causarono circa l’80% delle vittime alleate nella fase finale della guerra.

Con la resa del Giappone, annunciata il 15 agosto 1945 dall’imperatore Hirohito, Onishi scrisse una lettera testamento ai giovani giapponesi e si suicidò, seguendo il codice d’onore del Bushido. Anche in Germania e Italia si diffusero idee simili, ma con metodi diversi. La Luftwaffe tedesca creò unità segrete per missioni suicide, mentre in Italia si parlava di piloti addestrati per azioni simili, ma le missioni italiane furono condotte senza velleità suicide, ottenendo risultati apprezzabili con abilità tradizionali.

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