Con l’attuale escalation del conflitto tra Israele e Libano, i circa diecimila caschi blu dell’Unifil, tra cui oltre mille soldati italiani, si trovano a dover affrontare una situazione di crescente pericolo. Andrea Tenenti, portavoce di Unifil, sottolinea che i caschi blu rimangono nelle loro posizioni e sono pronti ad affrontare qualsiasi eventualità, con particolare attenzione alla protezione dei civili. Tuttavia, il generale di brigata Massimo Panizzi avverte che i bunker in cui sono riparati i soldati possono resistere a esplosioni vicine, ma non a impatti diretti di missili o bombe.
La missione dell’Unifil, istituita nel 1978, ha come obiettivo principale quello di monitorare il rispetto della tregua tra Libano e Israele, nonché di favorire il ripristino dell’autorità governativa libanese nel sud del Paese. Dopo il conflitto del 2006, il mandato della missione è stato ampliato per includere il monitoraggio della “Linea Blu”, la demarcazione tra i due Stati, e il disarmo di gruppi armati come Hezbollah.
Nonostante gli sforzi, la missione dell’Unifil si trova in una posizione difficile. Attualmente, l’organizzazione cerca di proteggere i civili, ma non è riuscita a disarmare le milizie di Hezbollah e non può impedire a Israele di continuare a violare la Risoluzione 1701 delle Nazioni Unite, che vieta le incursioni israeliane nel territorio libanese. Pertanto, ci si interroga sull’efficacia della missione e sull’opportunità di mantenere i caschi blu nella regione, considerando che, di fatto, non stanno riuscendo a raggiungere gli obiettivi per cui sono stati istituiti.
In conclusione, mentre l’Unifil ha il compito di monitorare e proteggere, la situazione complessa e instabile nella regione rende difficile il compimento di tali missioni. La presenza dei caschi blu è fondamentale per il mantenimento di una certa stabilità, ma rimangono interrogativi sui risultati concreti e sull’adeguatezza delle loro funzioni in un contesto così critico e volatile.