La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha confermato un’ammenda di 2,4 miliardi di euro a Google per abuso di posizione dominante attraverso il favoritismo al proprio servizio di comparazione di prodotti. Inoltre, ha annullato una precedente sentenza che aveva sostenuto i ruling fiscali concessi dall’Irlanda alla Apple. La Corte ha respinto il ricorso di Google e della sua società madre, Alphabet, ma ha confermato che l’Irlanda aveva fornito un aiuto di Stato illegale alla Apple, che dovrebbe recuperare 13 miliardi di euro.
Nel dettaglio, nel 1991 e nel 2007 l’Irlanda ha emesso ruling fiscali favorevoli a due società Apple, consentendo loro di determinare utili imponibili inferiori attraverso la non attribuzione degli utili generati dalle licenze di proprietà intellettuale. La Commissione Europea ha dichiarato questa pratica illegale, in quanto costituiva un aiuto di Stato incompatibile con il mercato interno. Il Tribunale dell’UE aveva inizialmente annullato la decisione della Commissione nel 2020, sostenendo che non era stata dimostrata l’esistenza di un vantaggio selettivo. Tuttavia, la Corte di Giustizia ha ribaltato questo giudizio, sancendo che i ruling fiscali concedevano vantaggi ingiustificati.
Per quanto riguarda Google, la Commissione aveva rilevato che l’azienda aveva privilegiato il proprio servizio di comparazione di prodotti nei risultati di ricerca, penalizzando così i concorrenti. In risposta, Google e Alphabet avevano contestato la decisione, ma il Tribunale ha confermato l’ammenda, pur non trovando prove di effetti anticoncorrenziali nel mercato della ricerca generale. La Corte di Giustizia ha ribadito che la normativa UE punisce non l’esistenza di una posizione dominante, ma il suo abuso. Ha stabilito che il comportamento di Google era discriminatorio e non rientrava nella normale concorrenza basata sui meriti.
In reazione alla sentenza, Google ha espresso delusione, affermando di aver apportato modifiche nel 2017 per conformarsi alle normative e che il proprio approccio ha portato successi per i servizi di comparazione prezzi. La decisione della Corte rappresenta un importante campanello d’allarme per le big tech, definendo limiti precisi per il loro operato in mercati dominati.