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La droga che alimenta il successo economico del Sud-est asiatico: il 73% dei lavoratori ne fa uso

Negli anni ’90, si parlava del sorprendente sviluppo delle High-Performing Asian Economies (HPAES) come Giappone, Corea del Sud, Hong Kong, Taiwan, Singapore, Malesia, Indonesia e Thailandia. Con l’inizio del nuovo millennio, la Repubblica Popolare Cinese è emersa come leader nell’industria e nella finanza, mentre altri paesi del Sud-est asiatico, come Brunei, Cambogia, Indonesia, Laos, Malesia, Birmania, Filippine e Vietnam, stanno guadagnando terreno. I membri dell’ASEAN rappresentano oggi una macroarea con il più alto tasso di crescita economica al mondo, venendo descritti come ricchi di risorse e manodopera, con produzioni e vendite incessanti verso Cina e India.

Tuttavia, dietro questo sviluppo straordinario si nascondono sfruttamento, degrado ambientale e condizioni di lavoro disumane. Un numero crescente di lavoratori nel Sud-est asiatico sembra essere intrappolato in una sorta di dipendenza economica, non diversa da una dipendenza da droga, per cui il lavoro incessante diventa indispensabile. Questo fenomeno è alimentato dalla diffusione di metanfetamine, che non vengono consumate solo a scopo ricreativo ma considerati strumenti necessari per sostenere la propria produttività.

In nazioni come Cambogia e Vietnam, la dipendenza da metanfetamine è cresciuta in modo allarmante, alimentata dalla necessità di lavorare più a lungo e più duramente. L’UNODC ha segnalato che nel 2023 sono state sequestrate oltre 190 tonnellate di metanfetamine nell’Asia orientale e sudorientale, la quantità più alta mai registrata in un anno. Queste sostanze arrivano principalmente dallo Stato Shan in Myanmar, dove i cartelli della droga esercitano un controllo significativo. Il prezzo della metanfetamina è crollato, rendendola più accessibile ai lavoratori mal pagati.

In Thailandia, un’indagine governativa ha rivelato che il 73,5% dei lavoratori agricoli usa anfetamine e metanfetamine per affrontare la fatica e lavorare per oltre dodici ore consecutive. Molti di questi sono impiegati in lavori pesanti nei settori della filiera produttiva, come nel caso di operai cambogiani e vietnamiti ai quali la Cina subappalta compiti che non vuole più svolgere. Questa situazione evidenzia un ciclo di sfruttamento legato alla crescente economia del Sud-est asiatico e le condizioni precarie in cui vivono molti lavoratori.

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