Non è sorprendente che i tour turistici a Roma, oltre alle classiche tappe come la Fontana di Trevi e San Pietro, includano anche aree come Corviale, Pigneto e Garbatella. Stefano Caviglia, nel suo libro ‘Roma, bella in periferia’ (Intra Moenia editore), esplora questa Roma meno conosciuta, carica di storia, architettura e problematiche sociali. Il racconto inizia dal 1870, anno in cui Roma divenne capitale d’Italia, portando a una crescita demografica e ai nuovi insediamenti, come Testaccio e San Lorenzo, principali regioni che accoglievano immigrati, spesso braccianti agricoli.
Caviglia definisce diversi tipi di periferia, da quella tardo ottocentesca a quelle sviluppate negli anni Venti e alle borgate degli anni Trenta e Quaranta, come Garbatella e Monte Sacro. C’è un filo conduttore nella memoria collettiva, dove ogni quartiere ha un proprio genius loci, identificandosi con Roma ma anche differenziandosi. La loro identità va oltre la geografia, toccando aspetti sociali e politici.
Il tour si apre a Testaccio, un quartiere noto per la sua tradizione culinaria e per il suo legame con opere letterarie. Da Testaccio si passa a Garbatella, originariamente denominata Borgata Giardino Concordia, concepita per attenuare le tensioni sociali del dopoguerra. Il nome Garbatella omaggia una bella ostessa, rappresentata in un bassorilievo in piazza Bonomelli.
Caviglia non si ferma qui; il suo racconto prosegue con il Pigneto, progettato da Carlo Pincherle, e il Quarticciolo, dove il leggendario “Gobbo” è parte della storia locale. Corviale, noto come “Stecca” o “Bronx”, è oggetto di dibattito architettonico e di leggende, incluso il destino del suo progettista, Mario Fiorentino. Il libro termina con il Laurentino 38 e la sua area verde mai realizzata, insieme a Tor Bella Monaca, un quartiere costruito con aspettative elevate ma che ha affrontato molte difficoltà. La narrazione di Caviglia ci porta a riflettere sull’evoluzione sociale di questi territori e sull’importanza della loro storia nel contesto di una Roma che spesso si dimentica delle sue periferie.