La mostra “Gut” di Talia Chetrit, in corso dal 18 settembre al 17 novembre presso 10 Corso Como a Milano, offre un’ampia panoramica del lavoro della fotografa americana, con 27 opere che spaziano da autoritratti a scene familiari, nature morte e fotografia di strada, il tutto con un tocco di ironia e provocazione. Curata da Alessandro Rabottini e Anna Castelli, l’esposizione include lavori realizzati da Chetrit sin dall’adolescenza, quando aveva circa 15-16 anni, e evidenzia temi come la rappresentazione del corpo e le relazioni familiari.
Le immagini di Chetrit, caratterizzate da una combinazione di intensità emotiva e composizione accurata, interrogano la natura della fotografia e le dinamiche di potere che emergono dall’atto di posare. Il titolo della mostra, “Gut”, suggerisce una pluralità di significati legati al coraggio, all’istinto e a reazioni viscerali, riflettendo i complessi temi dell’opera. Tra le fotografie esposte si trovano opere storiche come “Logo” e “Face #1”, in cui la fotografa ritrae amiche d’infanzia, e “Murder Picture #3”, che esplora la fascinazione per la violenza e il voyeurismo.
Chetrit continua a esplorare la rappresentazione dei soggetti femminili nei suoi autoritratti più recenti, come “Untitled (Body)” e “Self-portrait (Mesh Layer)”, in cui affronta il proprio corpo con una miscela di esibizionismo e auto-parodia. Le relazioni familiari sono centrali nel suo lavoro, con ritratti di familiari che disgregano gli stereotipi e rivelano la complessità delle dinamiche interpersonali.
Pur collaborando con marchi di moda come Celine e Acne Studios, il linguaggio della moda nelle sue opere artistiche diventa uno strumento per esplorare l’identità e le convenzioni sociali. Le fotografie, che spaziano da scatti intimi a vedute urbane scattate da lontano, invitano a una riflessione profonda sui legami affettivi, sull’amore e sull’amicizia, creando uno spazio per confrontarsi con la propria esperienza.
Attraverso un immaginario ricco di contraddizioni, la mostra di Chetrit si propone come una vera e propria indagine sulla complessità delle relazioni umane, spingendo i visitatori a esplorare la loro vulnerabilità e autenticità.