In Europa, si vocifera che Carlos Tavares, il CEO di Stellantis, possa lasciare la sua posizione con una buonuscita impressionante, stimata tra cento e centosessanta milioni di euro. Questa cifra, sebbene variabile, evidenzia come un manager possa abbandonare un’azienda con una liquidazione considerevole. Dall’altra parte dell’Atlantico, Elon Musk esprime il suo malcontento per la decisione di un giudice che continua a bloccargli un compenso di circa 56 miliardi di dollari proveniente dalla sua azienda, Tesla. Queste due notizie, sebbene geograficamente distanti, offrono uno spaccato della situazione attuale nelle cosiddette democrazie occidentali, che sembrano sempre più avvicinarsi a una plutocrazia.
Nel contesto italiano, emerge una crescente disuguaglianza economica, evidenziata dal fatto che, mentre un numero esiguo di persone accumula enormi patrimoni — in Italia, 72 individui possiedono un totale di 301 miliardi di euro — la povertà colpisce milioni di cittadini. Infatti, ci sono quasi 6 milioni di persone che vivono in condizioni di povertà assoluta, mentre le istituzioni e i servizi pubblici mostrano segni di cedimento, con scuole in condizioni precarie e altre problematiche sociali irrisolte.
Questa disparità economica solleva interrogativi sull’accettabilità di una simile situazione: come è possibile che in un medesimo paese conviva una tale ricchezza con una povertà così diffusa? La risposta sembra essere che, a questo punto, la società si è abituata a questa ingiustizia. La normalizzazione di questa distanza tra ricchi e poveri rappresenta un problema significativo, in grado di minare le fondamenta della coesione sociale e della giustizia economica. La questione non è solo economica, ma ha anche profonde implicazioni etiche e morali, in un contesto in cui i valori di uguaglianza e opportunità sembrano sempre più trascurati. La riflessione su questi temi diventa dunque necessaria per comprendere e affrontare le sfide contemporanee delle nostre società.