La notte tra il 29 e il 30 giugno, Alex Marangon, un barista di 25 anni, ha assunto un decotto di ayahuasca durante un ritiro di sciamanesimo tradizionale all’Abbazia di Santa Bona, a Vidor. Questa informazione è emersa grazie alle analisi tossicologiche coordinate dalla dottoressa Donata Favretto presso un laboratorio di Trieste, che hanno confermato la presenza dell’alucinogeno nel suo sistema. Le indagini della Procura di Treviso, attualmente aperte per omicidio, si sono intensificate a seguito di questo risultato.
Poche ore prima della sua morte, Alex ha inviato un messaggio vocale a un amico, esprimendo entusiasmo per la cerimonia con l’ayahuasca. Ha fatto riferimento alla sua ritrovata serenità e alla partecipazione al rito, evidenziando un clima di ottimismo. Tuttavia, durante la cerimonia, si sarebbe allontanato dal gruppo che stava cantando e meditando, per poi sparire nel buio. I partecipanti hanno aspettato fino alle 7 del mattino per chiamare i soccorsi, dopo averlo cercato senza successo, e il suo corpo è stato rinvenuto solo il 2 luglio su un isolotto del Piave, a quattro chilometri dall’abbazia.
L’autopsia, effettuata il 5 luglio, ha rivelato fratture incompatibili con la semplice caduta o un ipotetico suicidio, suggerendo la possibilità di omicidio. Inoltre, un’ispezione dei vigili del fuoco nel dirupo non ha mostrato alcun ramo spezzato, mettendo in discussione la dinamica dell’incidente.
La famiglia di Alex sostiene che ci sia una mancanza di verità e trasparenza riguardo a quanto accaduto e critica il fatto che il caso non sia stato gestito in modo serio, con evidenze vitali non messe sotto sequestro. I legali della famiglia, Nicodemo Gentile e Stefano Tigani, insistono sul fatto che si tratti di omicidio, alimentando ulteriormente le indagini e le speculazioni sulla vera natura della morte di Alex. In assenza di chiarezza e con i risultati dell’autopsia che complicano ulteriormente la situazione, il mistero attorno a questa tragica vicenda continua a richiedere attenzione e scoperte.