La mattina del 7 settembre 1944, si respirava un clima di tensione tra 663 deportati dei Sonderkommando nei forni di Auschwitz-Birkenau. Questi uomini erano stati costretti dai nazisti a svolgere compiti atroci, come accompagnare gli ebrei alle finte docce prima di gassificarli, recuperare i cadaveri e smaltire le ceneri, diventando così complici involontari della Shoah. Seppur ricevendo piccoli privilegi, sapevano che erano destinati a essere eliminati. La resistenza all’interno di Auschwitz era in allerta per un possibile rastrellamento di circa 300 di loro, destinati a un trasporto per la morte.
Nel corso di una riunione, un prigioniero tedesco ha minacciato di denunciare gli ebrei alle SS, ma è stato subito ucciso. Gli ebrei, spinti dalla disperazione, decidono di ribellarsi, attaccando le guardie con strumenti improvisati e grazie all’esplosivo che erano riusciti a procurarsi. Alcuni membri del Sonderkommando fuggono verso un boschetto, mentre altri si uniscono in una rivolta contro le SS. Il tentativo di insurrezione è segnato da violenza crescente, con uccisioni di guardie e la liberazione di alcune donne, ma è soffocata in modo brutale dalle SS che attuano rappresaglie sanguinose.
Tra le poche sopravvissute, la rivolta non sarebbe stata possibile senza il contributo di quattro giovani ebree polacche: Róża Robota, Ella Gartner, Regina Safin ed Ester Wajsblum. Lavorando in una fabbrica di armamenti, avevano raccolto esplosivo da consegnare ai ribelli. Catturate, furono torturate e impiccate nel gennaio 1945. La quattordicenne Liliana Segre, testimone del loro supplizio, descrisse la scena straziante degli impiccati nel piazzale.
Shlomo Venezia, l’ultimo sopravvissuto dei Sonderkommando, fornì testimonianza della vita nel campo, descrivendo il meccanismo deumanizzante che costringeva le vittime a vivere una realtà tragica. Primo Levi osservò che l’ideazione dei Sonderkommando rappresentava uno dei crimini più terribili del nazismo, spostando la responsabilità sui perseguitati e privandoli della consapevolezza della loro innocenza. Così, nonostante il coraggio e gli atti di resistenza, Auschwitz continuò a essere un simbolo della barbarie e dell’orrore della Shoah.