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martedì, Ottobre 15, 2024
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Oltre 3,5 milioni di italiani afflitti da disturbi alimentari

Nel nostro paese, oltre 3,5 milioni di persone convivono con disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (DNA), come anoressia, bulimia e disturbo da alimentazione incontrollata. Sebbene l’organizzazione dei servizi per questi pazienti stia migliorando, i centri di trattamento sono ancora pochi e distribuiti in modo disomogeneo, come evidenziato nella recente mappatura dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Questo sarà uno dei temi principali del congresso nazionale della Società Italiana di Psicopatologia dell’Alimentazione (SIPA), che si terrà a Udine il 17 e 18 ottobre.

Durante il congresso si discuteranno vari interventi, per lo più di tipo psicoterapico e psicoeducativo, ma anche farmacologico, come spiegato da Matteo Balestrieri, presidente dell’evento e professore di Psichiatria all’Università di Udine. Saranno affrontati temi come bulimia, anoressia e disturbi da alimentazione incontrollata, inclusa l’obesità, che presenta anche una componente psicologica legata all’iperalimentazione psichica. Gli esperti evidenzieranno l’importanza di un approccio multidisciplinare, necessitando diverse professionalità come psichiatri, psicologi, educatori, internisti, nutrizionisti e dietisti.

I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sono legati non solo alla sfera psicologica, ma anche a importanti componenti fisiche e nutrizionali che necessitano monitoraggio. Gli interventi possono variare da ambulatoriali a semiresidenziali e diurni, con possibilità di brevi soggiorni in day hospital per monitorare lo stato fisico, fino ai ricoveri. È da notare l’importanza delle strutture residenziali, che consentono accoglienza a lungo termine, ma sono distribuite in modo disomogeneo sul territorio nazionale.

Particolare attenzione sarà riservata alla prevenzione, alla diagnosi precoce e all’importanza di interventi tempestivi. Balestrieri sottolinea che un intervento precoce nei DNA, come in molti altri ambiti della psichiatria, può ridurre la durata della malattia e diminuire il rischio di aggravamento. Ritardare l’intervento potrebbe invece compromettere la prognosi e rendere gli interventi successivi più difficili.

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