La Giudice per le Indagini Preliminari di Bergamo, Raffaella Mascarino, ha convalidato il fermo e disposto la custodia cautelare in carcere per Moussa Sangare, un trentenne che ha confessato di aver ucciso Sharon Verzeni durante la notte tra il 29 e il 30 luglio a Terno d’Isola. La giudice ha riconosciuto entrambe le aggravanti contestate dal pubblico ministero Emanuele Marchisio: la premeditazione e i futili motivi.
Nell’ordinanza di custodia cautelare, la gip ha evidenziato che, sebbene le motivazioni fornite da Sangare riguardo alla spinta che lo ha indotto a commettere l’omicidio possano generare dubbi sul suo stato mentale al momento del fatto, questi ha mostrato una serie di comportamenti pianificati. Prima di agire, infatti, ha vagato in cerca di un obiettivo vulnerabile e ha messo in atto accorgimenti per nascondere eventuali indizi. Questo comportamento è stato interpretato dalla giudice come segno di uno stato mentale integro.
Per dissipare ogni incertezza, i medici che hanno visitato Sangare nel reparto di psichiatria del carcere di via Gleno hanno dichiarato che l’uomo non presenta alcuna patologia psichiatrica, né grave né recente. Durante l’interrogatorio, Sangare ha rivelato di non essersi liberato del coltello utilizzato per uccidere, affermando: “Non l’ho buttato, volevo tenerlo come ricordo di quello che avevo fatto”. Poi ha ammesso di aver seppellito l’arma del delitto in un parco a Medolago, vicino all’Adda, due giorni dopo l’omicidio.
L’avvocato di Sangare, Giacomo Maj, ha dichiarato che il suo assistito non era uscito con l’intenzione di uccidere. Ha descritto la situazione come un’inspiegabile sensazione che portava Sangare a pensare di fare del male, pur essendo vago su chi fosse il suo obiettivo e su cosa avrebbe dovuto fare. Il legale ha sottolineato che la condizione psicologica del suo assistito dovrà essere approfondita, ritenendo che egli abbia effettivamente problemi, sebbene non sia un esperto in campo medico.
La situazione giuridica di Sangare si complica ulteriormente a causa della pesantezza del reato confessato e delle aggravanti riconosciute. La questione dello stato mentale dell’imputato potrebbe giungere a influenzare la linee di difesa, tuttavia, le evidenze raccolte dai medici tendono a confermare la stabilità mentale di Sangare al momento del crimine. Ciò rende difficile sostenere una difesa basata su problemi psichiatrici.
In conclusione, il caso di Moussa Sangare rimane aperto e suscita interrogativi non solo sulla sua condotta, ma anche sulle motivazioni psicologiche che lo hanno spinto a commettere un atto così tragico. La custodia cautelare e l’approfondimento della sua condizione psicologica saranno seguiti con attenzione nel corso delle indagini di polizia e dei procedimenti legali.