Un uomo è stato condannato a 6 anni e 4 mesi di carcere per molestie sessuali nei confronti della figlia undicenne della sua compagna. I legali dell’imputato hanno sostenuto una linea difensiva secondo cui le molestie sarebbero avvenute solo “sopra gli abiti”, ciò ha portato la Corte d’Appello a concedere uno sconto di pena di un anno e otto mesi. Di conseguenza, la provvisionale di 50mila euro a favore della vittima, che ora è maggiorenne, è stata ridotta.
La giovane ha avuto il coraggio di denunciare le molestie che ha subito per anni, nonostante un periodo di silenzio in cui ha cercato di proteggere la madre, dicendo a se stessa che l’uomo “faceva felice mamma” e che lei quindi era felice per questo. Tuttavia, ha espresso il suo disappunto, affermando che “non è proprio una brava persona”.
Questa situazione evidenzia le difficoltà che molte vittime di abusi affrontano, soprattutto quando coinvolgono membri della famiglia o figure di autorità. La ragazza, dopo un lungo periodo di sofferenza e confusione, ha trovato la forza di raccontare le sue esperienze a un’educatrice, rompendo finalmente il silenzio e cercando giustizia per le violenze subite.
Il caso ha sollevato interrogativi sulla giustizia e la protezione delle vittime di abusi, in particolare quelle minorenni, e le implicazioni morali legate all’attenuazione delle pene per reati sessuali. La sentenza ha suscitato preoccupazione e indignazione tra le organizzazioni che si occupano di diritti delle donne e dell’infanzia, che richiedono una maggiore serietà e severità nel trattare questi crimini.
In conclusione, la vicenda di questo patrigno molesto sottolinea le problematiche legate agli abusi familiari e alla difficoltà di parlarne, nonché la necessità di un sistema giuridico che tuteli meglio le vittime, evitando attenuanti che possano sminuire la gravità dei reati. La giustizia deve ascoltare e dare voce a chi ha subito violenza, garantendo protezione e risarcimento adeguato per le sofferenze vissute.