Le particelle di COVID-19 potrebbero sfruttare una proteina presente nei globuli rossi per diffondersi attraverso il corpo, oltre il sistema respiratorio. Questo è quanto emerge da uno studio condotto da ricercatori dell’Istituto Pasteur di Montevideo, dell’Università della Repubblica e dell’Università di Buenos Aires, pubblicato sulla rivista «Cell Death and Disease». La ricerca sottolinea la capacità del virus di raggiungere tessuti e organi lontani attraverso il sangue, contribuendo ai casi gravi e multisistemici della malattia. Il virologo Gonzalo Moratorio, coautore dello studio, afferma che questa scoperta apre la strada a nuovi trattamenti terapeutici per i pazienti avanzati colpiti dal coronavirus Sars-CoV-2.
Il team ha esaminato un coronavirus murino, che infetta naturalmente i topi e colpisce il fegato. Moratorio ha spiegato che la scoperta dell’associazione tra le particelle virali e i globuli rossi è stata un primo segnale per comprendere come il virus possa spostarsi tra diversi tessuti e cellule, causando frequenti insuccessi negli organi. I risultati sono stati confrontati con dati di autopsie umane per identificare possibili somiglianze. È emersa la presenza della proteina spike, bersaglio dei vaccini, nel virus murino, il quale si lega preferenzialmente alle emoproteine, responsabili del trasporto dell’ossigeno. Questo legame potrebbe facilitare la diffusione della malattia, permettendo al virus di invadere sistematicamente il corpo.
Gli scienziati suggeriscono che mirando il trattamento direttamente alle emoproteine, si potrebbe ridurre la gravità della malattia. Questi risultati propongono un cambiamento significativo nell’approccio terapeutico, spostando l’attenzione dalla semplice alleviazione dei sintomi alla mitigazione della diffusione del virus. Moratorio evidenzia che meccanismi simili possono essere replicati in altre infezioni, suggerendo l’importanza di considerare questi percorsi come possibili modalità di diffusione da parte di vari patogeni.
Inoltre, Moratorio è stato scelto come uno dei 16 leader globali per il programma World Fellows all’Università di Yale, dove ha presentato le sue ricerche, evidenziando il contributo dell’America Latina alla conoscenza globale. Sottolinea anche l’importanza di dare opportunità ai giovani scienziati della regione, dimostrando che è possibile fare scienza con un impatto globale anche con risorse limitate in Uruguay.]