Giovanni Toti, ex presidente della Liguria, è imputato per corruzione e finanziamento illecito e ha chiesto il patteggiamento alla Procura di Genova. Questa richiesta, se accettata dal giudice, impedirà lo svolgimento del processo previsto per il 5 novembre. In base all’accordo proposto tra il pubblico ministero e la difesa di Toti, la pena aumenterà a due anni e un mese, che verranno convertiti in circa 1500 ore di lavori di pubblica utilità. Inoltre, il Comitato Toti dovrà restituire le somme sottoposte a contestazione.
Toti ha commentato la situazione esprimendo sentimenti contrastanti di “amarezza e sollievo”. Dal suo punto di vista, l’amarezza deriva dalla scelta di non poter perseguire a fondo la propria innocenza, mentre il sollievo scaturisce dal riconoscimento di una parte delle sue ragioni. Ha sottolineato che rimane in piedi l’accusa di “corruzione impropria”, che si basa su comportamenti difficile da provare e, paradossalmente, altrettanto difficile da smontare.
L’ex governatore ha enfatizzato come la conclusione di questa vicenda evidenzi la reale proporzione dei fatti avvenuti e la necessità di fare chiarezza sulla questione e sulle norme ambigue che circondano la politica italiana. Ha osservato che sia le istituzioni che i singoli coinvolti abbiano pagato un prezzo e ha richiamato le forze politiche alla responsabilità di rivedere e chiarire le leggi che regolano ciò che deve essere di pertinenza politica piuttosto che giudiziaria.
Toti ha dunque manifestato la convinzione che la vicenda si avvia a una conclusione che porterà a un chiarimento necessario non solo per il suo caso ma anche per il contesto politico più ampio, in cui troppe norme continuano a creare zone d’ombra. La sua posizione suggerisce una riflessione sulle implicazioni di tali accuse nella sfera politica e sulla necessità di una riforma normativa che separi meglio la giustizia dalla politica.
